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2 gennaio 2018 2 02 /01 /gennaio /2018 19:55

 

GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 

SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

“CAVELLINI ARTISTAMP / MOSTRA A DOMICILIO”

a cura di Sandro  Bongiani

Presentazione critica di Piero Cavellini

(In collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia)

Dal 22 dicembre 2017  al  31 marzo 2018

Salerno Tel/Fax 089 5648159    

e-mail:  bongiani@alice.it     

Web Gallery: http://www.collezionebongianiartmuseum.it

Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00

 

 

 

GAC E L’EPICA DEL FRANCOBOLLO

 

Nella sua navigazione ininterrotta nel territorio dell’arte GAC esprime un giudizio sul sistema che la sottende.

Lo ha fatto da artista abbandonando la sua produzione per raccogliere attorno a sé una nuova generazione senza altra speranza di trovare luce per uscire da una diatriba sterile e passatista.

Continua poi producendo opere come artista attivo ricercando senza sosta segnali che rendessero esplicito il suo argomento: la condizione dell’artista e le sue ambizioni molto spesso frustrate dal conflitto con la dinamica sociale.

Dapprima agendo sul suo stesso lavoro, incassettando le proprie opere precedenti distrutte o proponendole come opere bruciate, in seguito iniziando a ragionare sul consenso riservato alle opere degne di celebrazione.

In questo contesto nascono i primi francobolli, nella seconda metà degli anni Sessanta, essenzialmente riproduzioni in legno ad intarsi di opere degne di essere eternizzate con il mezzo più semplice ed immediato che la comunicazione sociale ha per dare lustro ad un’attività umana: quello di inserirla nella iconografia postale.

Sorge così un suo codice estetico speciale che lo accompagnerà in seguito in gran parte del suo lavoro.

E’ nei primi anni Settanta che, appropiandosi di una dilagante espressione concettuale, questi suoi giudizi in qualche modo esplodono.

Nel 1971 conia il termine “autostoricizzazione” ed inizia un lavoro espanso ed insistito ponendosi in prima persona come paladino della condizione dell’artista portando su se stesso il compito di fornirgli le modalità per superare lo stato dell’esclusione.

Lo fa essenzialmente col concetto di “Centenario” come strategia anticipatoria della propria celebrazione e con le “Mostre a domicilio”, veicolo espositivo postale che gli permette di esporre il proprio lavoro in diecimila luoghi in tutto il mondo.

Queste attività lo inseriscono in un circuito di arte postale internazionale che già si stava diffondendo da qualche anno nelle dinamiche espressive del periodo.

E’ all’interno di questa fuga in avanti che rientra in gioco il “Francobollo” come elemento essenziale di questo tipo di circolazione artistica.

Nella parte finale del suo lavoro, gli anni Ottanta, quando la sua presenza nel mondo dell’arte diventa estesa e partecipata, questo espediente sintattico della comunicazione diviene sempre più “opera dipinta” esso stesso dando sfogo ad una creatività senza freni, un produrre con soggetti svariati ed eclettici una grande quantità di opere come “Progetto di Francobollo per il mio Centenario”.

E’ in questo periodo quindi che usa un suo particolare “stile” per dare sostanza al corpus di lavori che avrebbero dovuto supportare le esposizioni museali del 2014.

Osservandone la varietà si trovano riassunte gran parte delle sue tensioni dove compaiono la raffigurazione geografica dell’Italia ricomposta attraverso elementi naturali come foglie, pigne, segmenti di tronchi d’albero, oppure sociali come la sua minuziosa scrittura o gli stessi elementi comunicativi che usava negli invii mailartistici. Non manca la sua riflessione sulla pittura del recente passato tra cui appare Andy Warhol con le sue iconografie popolari a cui si sente particolarmente vicino.

Ne risulta quindi la composizione di un universo sia intimo che sociale con cui da corpo ad una visione di se stesso rapportato agli altri in cui il francobollo diviene il territorio privilegiato con cui tenta di eternizzare il proprio stato.

 

Piero Cavellini,   Dicembre 2017

    

 

 

BIOGRAFIA / GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI

 Brescia 1914-1990

 Guglielmo Achille Cavellini (o GAC, come si firmava) è stato un personaggio multiforme e geniale che per circa un cinquantennio ha vissuto, come fosse un arbitro speciale, l’arte contemporanea, dal secondo dopoguerra fino al 1990, anno della sua morte.

 Sta forse qui il cardine per capirlo. Non è stato un artista come tanti altri, con la sua piccola o grande innovazione. Non è stata una questione di stile la sua, ma una specie di giudizio illuminato che ha ricondotto giustamente all’individuo ed al suo pensiero i balbettii di un sistema che si stava sbriciolando in mille rivoli di potere dove l’arte e l’artista rischiavano di rimanere nell’ombra. Non è poco si dirà, eppure sembra che tutto ciò ancora ai più non sia chiaro.

 La storia ha inizio sul finire degli anni quaranta quando GAC, messi da parte i suoi primi tentativi espressivi, scopre una nuova arte europea che, chiamandosi astratta, coniuga un fronte nuovo della pittura. Ne diviene uno dei maggiori collezionisti, se ne innamora come pittore e offre il suo primo giudizio all’arte. Per molti sembra che il suo valore termini qui, invece quella non fu altro che la scintilla iniziale, un modo per mettere in piedi un’idea dell’arte come scelta individuale che è stata l’elemento conduttore della sua esistenza d’artista.

 Nel 1960 ha ripreso il lavoro con forza, dapprima sul versante dell’astrattismo pittorico che tanta parte aveva avuto nei suoi interessi del decennio precedente, ma con un gesto, un segno nuovi che appaiono ora come anticipatori del suo lavoro sulla scrittura che prenderà corpo più tardi.

 La sperimentazione continua e nel 1965 sforna un gruppo di lavori che sono un’ulteriore tappa verso un uso diversificato dei materiali. Recupera dal quotidiano oggetti, soprattutto giocattoli, soldatini, lamette da barba ecc. che uniti a materiali di discarica vanno a formare una sorta di teatrino carico di memoria e anche di denuncia sociale.

 E’ quindi la volta delle cassette che contengono opere distrutte (1966-1968) in cui ingabbia i suoi tentativi di lavoro precedente ed anche, e qui appare per la prima volta l’elemento citazione-appropriazione, opere di artisti di cui stima maggiormente il lavoro.

Citazione-appropriazione che prende corpo più chiaramente (1967-1968) con opere formate da intarsi in legno dipinto in cui gioca con i personaggi della storia dell’arte, ed anche con i primi francobolli, dando il via ad una ricognizione sulla celebrazione che sarà poi sempre presente nel suo lavoro.

Nei carboni (1968-1971), che per un certo periodo sono stati un vero e proprio simbolo del suo lavoro, dove bruciare significa creare il nuovo purificandosi, coniuga più apertamente i concetti appena accennati nei lavori precedenti, dalla pittura all’oggetto, dalla citazione all’appropriazione fino a far assumere a certe icone la valenza di opera propria, usando opere di altri autori oppure l’immagine dell’Italia  in innumerevoli situazioni e contesti.

 Nel 1970 produce una serie di opere, intitolate Proposte, in cui l’azzardo di appropriazione iconoclasta lo porta a sezionare tele di altri autori di importante valore storico ed artistico. Il gioco e l’ironia prendono ancora più spazio lasciando posto anche al dubbio che ci si trovi di fronte ad un gesto estremo e lesionista (era sì o no Cavellini in tempi passati un famoso collezionista?).

Nel 1971 c’è una svolta cruciale nel suo lavoro: decide di rivolgere attenzione unicamente a se stesso per segnalare la deformazione di un sistema permeato da invidie e chiusure invalicabili. Conia il termine Autostoricizzazione, che fu una vera e propria puntualizzazione, un modo per mettere in pratica il suo giudizio. Il termine può sembrare a prima vista un escamotage brillante e narcisista per mettersi in mostra, ma è tanto forte l’idea da intrufolarsi nel sistema dell’arte e straripare nei suoi gangli più vitali mettendone in luce ogni contraddizione.

Le sue Mostre a domicilio furono una specie di vessillo per tanti giovani artisti con cui ebbe un fitto scambio di arte postale, tanto da creare uno degli archivi-museo tra i più cospicui ed interessanti di questo tipo di opere provenienti da ogni parte del mondo. Museo che egli, a più riprese, disse di considerare “la sua opera più importante”.

Produce quindi i manifesti che innumerevoli musei di tutto il mondo dovranno usare per celebrare il suo centenario, abbinando al suo nome la sigla 1914-2014.

A questo punto la fantasia dell’artista, liberata da ogni pudore verso l’autocelebrazione, si scatena. Nei francobolli entra lui con la sua mimica votata allo sberleffo.

Scrive una Pagina dell’Enciclopedia partendo da una semplice cronaca autobiografica fino a sfociare in una vera e propria iperbole del culto della personalità. La sua scrittura diviene quindi una cifra pittorica usata con maniacale insistenza su tutti i supporti possibili: colonne, manichini, tele e drappi di dimensioni enormi.

E’ questa la realtà che vede Cavellini come autentico innovatore, ed anticipatore anche negli aspetti di una nuova comunicazione nell’arte, scavalcando i canonici rapporti che sembrano una base inscalfibile del sistema, dando una risposta concreta e carica di vitalità al suo messaggio di provocante giudice del territorio dell’arte.   (Archivio Cavellini di  Brescia).

  

 

GUGLIELMO ACHILLE CAVELLINI 

SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

“CAVELLINI ARTISTAMP / MOSTRA A DOMICILIO”

a cura di Sandro  Bongiani

Presentazione critica di Piero Cavellini

(In collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia)

 

Dal 22 dicembre 2017  al  31 marzo 2018

Inaugurazione:  venerdì  22  dicembre  2017,  ore 18.00

                       

S’inaugura  venerdì  22  dicembre 2017,  alle ore 18.00,  la mostra  Personale dal titolo “CAVELLINI ARTISTAMP / MOSTRA  A  DOMICILIO” a cura di Sandro  Bongiani  che lo Spazio  Ophen Virtual Art Gallery di Salerno dedica all’artista italiano Guglielmo Achille Cavellini, presentando,  in collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia  la serie di 77  francobolli, alcuni ancora inediti,  in una mostra  volutamente  “virtuale”,  come logico sviluppo delle mostre  realizzate dall’artista a domicilio,  tra opere ad acrilico, intarsio, carbone, legno, collage,  pennarello, serigrafia, fotografia e studi grafici preparatori creati nel corso degli anni 70’ e 80’ sotto forma di Artistamp, con il fine d’indagare  una parte  significativa del lavoro  di Cavellini ancora non  del tutto conosciuto. Nella sua ininterrotta navigazione nel territorio dell’arte GAC ha ricercato senza sosta segnali  chiarificatrici che rendessero esplicito la condizione dell’artista e le sue ambizioni molto spesso frustrate dal conflitto con la dinamica sociale. In tale contesto nascono i primi francobolli, nella seconda metà degli anni Sessanta, essenzialmente riproduzioni in legno ad intarsi di opere degne di essere eternizzate con il mezzo più semplice ed immediato che la comunicazione sociale ha per dare lustro ad un’attività umana: quello di inserirla nella iconografia postale.

Una vita dedita totalmente all’autostoricizzazione, diffusa ampiamente dal 1970 in poi  con mostre e cataloghi a domicilio, manifesti, spille, stickers, cimeli, francobolli, performance, happening, attendendo e programmando la celebrazione ufficiale del 2014 in concomitanza con il centenario dalla sua nascita, nel veneziano Palazzo Ducale e nei musei più prestigiosi del mondo.

 

Scrive Piero Cavellini nella presentazione alla mostra: “ E’ nei primi anni Settanta che, appropiandosi di una dilagante espressione concettuale, questi suoi giudizi in qualche modo esplodono. Nel 1971 conia il termine “autostoricizzazione” ed inizia un lavoro espanso ed insistito ponendosi in prima persona come paladino della condizione dell’artista portando su se stesso il compito di fornirgli le modalità per superare lo stato dell’esclusione. Lo fa essenzialmente col concetto di “Centenario” come strategia anticipatoria della propria celebrazione e con le “Mostre a domicilio”, veicolo espositivo postale che gli permette di esporre il proprio lavoro in diecimila luoghi in tutto il mondo. Queste attività lo inseriscono in un circuito di arte postale internazionale che già si stava diffondendo da qualche anno nelle dinamiche espressive del periodo.  E’ all’interno di questa fuga in avanti che rientra in gioco il “Francobollo” come elemento essenziale di questo tipo di circolazione artistica. Nella parte finale del suo lavoro, gli anni Ottanta, quando la sua presenza nel mondo dell’arte diventa estesa e partecipata, questo espediente sintattico della comunicazione diviene sempre più “opera dipinta” esso stesso dando sfogo ad una creatività senza freni, un produrre con soggetti svariati ed eclettici una grande quantità di opere come “Progetto di Francobollo per il mio Centenario”. E’ in questo periodo, quindi, che usa un suo particolare “stile” per dare sostanza al corpus di lavori che avrebbero dovuto supportare le esposizioni museali del 2014 .   Ne risulta  la composizione di un universo sia intimo che sociale con cui da corpo ad una visione di se stesso rapportato agli altri in cui il francobollo diviene il territorio privilegiato con cui tenta di eternizzare il proprio stato.

 

 

BIOGRAFIA  di  GUGLIEMO ACHILLE CAVELLINI  

GAC (Guglielmo Achille Cavellini)  è stato un importante studioso e collezionista dell'arte astratta europea. Dalla metà degli Anni '40 esordisce con disegni e ritratti. Nel '60, si dedica invece alla sperimentazione: alcuni esempi del suo lavoro sono spesso legati a citazioni, vere e proprie elaborazioni di celebri opere che ne fanno un autentico attore nella messa in scena dell'arte. GAC mette in pratica la sua teoria dell'autostoricizzazione: il fare da sé nel costruirsi attorno l'alone del successo, mettendo in disparte i processi canonici che il sistema utilizza a tale scopo. Non è un atto di megalomane autorappresentazione, bensì l'innescarsi di una procedura alternativa: una rivoluzione all'interno della comunicazione artistica. Andy Warhol si mette a ritrarre Cavellini, e il geniaccio GAC rende omaggio a Andy con il francobollo "Le Marilyn di Warhol" (1984). L’utilizzo dei materiali di recupero (negli oggetti assemblati, negli intarsi in legno, nei carboni), è lo strumento del suo operare. Nascono i Teatrini e i  francobolli d’artista attraverso i quali viene reso omaggio ai geni della pittura: Picasso, Lèger, Matisse, Braque e nasce, anche, l’amore per la Mail Art, movimento libero  e democratico che permette a GAC di avere  contatti e confronti importanti con tanti artisti sparsi su tutto il pianeta.

 

 

“CAVELLINI ARTISTAMP /  MOSTRA  A DOMICILIO”

SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

Via S. Calenda, 105/D  - Salerno

Salerno Tel/Fax 089 5648159    

e-mail:  bongiani@alice.it     

Web Gallery: http://www.collezionebongianiartmuseum.it

Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00

 

 

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26 agosto 2017 6 26 /08 /agosto /2017 08:53

Comunicato stampa

SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY

PAVILION  LAUTANIA  VIRTUAL  VALLEY  / 1887 - Kurt Schwitters & Marcel Duchamp “UNIVERSI  POSSIBILI / Verso La Globalità Intelligente”  a cura di  Giovanni Bonanno. Dal 6 maggio 2017 al 26 novembre 2017– Due proposte  internazionali presentate in contemporanea con la 57th Biennale Internazionale d’Arte di Venezia 2017.   

                                             

 

MARCEL  DUCHAMP  / 1887 – Area di Confine  Porta Duchamp

Mostra collettiva internazionale  dedicata  a  Marcel Duchamp  
a cura di Giovanni  Bonanno / Secondo  evento  contemporaneo ed indipendente  progettato in concomitanza con la
57th Biennale Internazionale d’Arte di Venezia 2017

Dal 28 agosto al 26 novembre 2017

Inaugurazione:  lunedì  28 agosto  2017,  ore 18.00
Ophen Virtual Art Gallery, Via S. Calenda, 105/D – Salerno Tel/Fax 089 5648159
e-mail:  bongiani@alice.it     
Web Gallery:
http://www.collezionebongianiartmuseum.it
Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00 


Per i 130 anni dalla nascita  di  Marcel Duchamp (Blainville-Crevon, 28 luglio 1887 – Neuilly-sur-Seine, 2 ottobre 1968), lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery in occasione della 57° Biennale di Venezia 2017, intende dedicare l’attenzione come evento indipendente e contemporaneo presso il “Pavilion  Lautania  Virtual  Valley”   a Marcel Duchamp e Kurt Schwitters    che riassumono compiutamente il concetto  di   indagine intesa come il luogo privilegiato per rilevare i sogni e le utopie che nella dimensione metafisica e mentale suggeriscono  mondi e immaginari collettivi. Duchamp lavora in gran segreto nell'ultimo ventennio della sua vita. Nel 1968, al momento di lasciare New York per andare a trascorrere l'estate in Europa, il lavoro è ormai ultimato e Marcel prima di morire si preoccupa di organizzare la sua presentazione finale preparando un manuale di istruzioni per il montaggio della costruzione, accludendo fotografie, note e un modellino in scala. L’opera  ancora assai poco conosciuta nasce nel bisogno  di porsi al di là, di definire  e mettere in forma totale una possibile estensione dell’altro, nella  necessità  ulteriore di metabolizzare la  realtà. Un’invenzione giocata a tutto campo su  proiezioni di frammenti e“universi possibili”, tra la libertà della creazione e la globalità intelligente del fare arte. In questa   seconda collettiva internazionale sono presenti 72 opere di altrettanti importanti artisti  che hanno voluto  condividere  tale proposta come artisti di frontiera  a margine  di un  possibile confine e spartiacque al  sistema omologato  dell’arte ufficiale. 

 

Artisti: 

Marcel Duchamp, Francia I Ruggero Maggi, Italia I John M. Bennett, Usa I Luisa Bergamini, Italia I Vittore Baroni, Italia I Fernanda Fedi, Italia I Emilio  Morandi, Italia I Pier Roberto Bassi, Italia I Mauro Molinari, Italia I Rosa Gravino, Argentina I Leonor Arnao, Argentina I Linda Paoli,  Italia I  Lancillotto  Bellini, Italia I Anna Boschi, Italia I Stathis Chrissicopulos, Grecia I Rosalie Gancie,  Usa I Daniele  Virgilio, Italia I Antonio  De Marchi Gherini, Italia I Claudio Grandinetti, Italia I  Carmela Corsitto,  Italia I Alfonso  Caccavale, Italia I Maya Lopez Muro, Italia I Franco Altobelli, Italia I Lucia Spagnuolo,  Italia I Clemente Padin, Uruguay I Renata e Giovanni Strada, Italia I Willemien Visser, Germania I Bruno Cassaglia, Italia I Lamberto Caravita, Italia I C. Mehrl  Bennett, Usa I Borderline Grafix, Usa I Daniel  Daligand,  Francia I Carlo Iacomucci, Italia I Mabi Col, Italia I Guido Capuano, Italia I Francesco Aprile, Italia I Gino Gini, Italia I Pascal Lenoir, Francia  I Adolfina De Stefani, Italia I Carl Baker,  Canada I Virginia Milici, Italia I Oronzo Liuzzi, Italia I Giovanni Bonanno,  Italia I Marcello  Diotallevi,  Italia I Donjon Evans, Usa Maria Josè Silva - MIZE', Portugal Laura Agostini,  Italia I David Drum, Usa I Lilian Pacheco, Brasile I Antonio Sassu, Italia I Jacob de Chirico, Italia I Cesar Reglero Campos, Spagna I Domenico Severino, Italia I Roberto Scala, Italia I Angela Caporaso, Italia I Claudio Romeo, Italia I Cinzia Farina, Italia I Marina  Salmaso, Danimarca I Maribel Martinez, Argentina I Rosanna Veronesi, Italia I Remy  Penard, Francia I Fulgor C. Silvi,  Italia I Mighel  Jimenez, Spagna I Ramona Palmisani, Italia I G. Franco  Brambati, Italia I Rossana Bucci, Italia I Rolando  Zucchini, Italia I Cecilia Bossi, Italia I Maria Teresa Cazzaro, Italia I Mauro Dal Fior, Italia I Joey  Patrickt, Usa  I Josè Luis Alcalde Soberanes, Mexico.

 

BIOGRAFIA DI MARCEL DUCHAMP (1887-1968) Biografia Henri-Robert-Marcel Duchamp nasce il 28 luglio 1887 nei pressi di Blainville, in Francia. Nel 1904 frequenta i corsi di pittura all'Académie Julian fino al 1905. Le sue prime opere sono di stile postimpressionista. Espone per la prima volta nel 1909 al Salon des Indépendants e al Salon d'Automne di Parigi. I suoi dipinti del 1911, in stretto rapporto con il cubismo, tendono tuttavia a rappresentare immagini successive di un corpo in movimento. Nel 1912 dipinge la versione definitiva di Nudo che scende le scale: l'opera viene esposta al Salon de la Section d'Or dello stesso anno e in seguito, nel 1913, all'Armory Show di New York, dove susciterà grande scalpore. Le idee iconoclastiche e radicali di Duchamp precorrono la nascita del movimento Dada, che avverrà a Zurigo nel 1916. Dal 1913, abbandonati la pittura e il disegno tradizionali, si dedica a forme d'arte sperimentali elaborando disegni meccanici, studi e annotazioni che verranno inclusi nella sua grande opera degli anni 1915-23, La sposa messa a nudo dai suoi scapoli, anche. Nel 1914 realizza i primi “readymade” (oggetti di uso comune, a volte modificati, presentati come opere d'arte) destinati ad avere effetti rivoluzionari per molti pittori e scultori. Nel 1915 Duchamp soggiorna per la prima volta a New York. Dalla metà degli anni '30 collabora con i surrealisti e partecipa alle loro mostre. Si stabilisce in modo definitivo a New York nel 1942 e diviene cittadino statunitense nel 1955. Negli anni '40 è in contatto con i surrealisti emigrati a New York e con essi espone varie volte. Nel 1946 comincia a realizzare Etant donnés, un grande assemblage al quale lavorerà segretamente per i successivi vent'anni. Muore a Neuilly-sur-Seine, nei pressi di Parigi, il 2 ottobre 1968.

 

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29 ottobre 2016 6 29 /10 /ottobre /2016 17:26
JOSEPH  BEUYS / BEUS159 - Maya Lopez Muro,  La Plata – Buenos Aires

JOSEPH BEUYS / BEUS159 - Maya Lopez Muro, La Plata – Buenos Aires

SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY 2.0

Via S. Calenda, 105/D - Salerno

WHAT WOULD YOU PUT IN THE HAT

OF JOSEPH BEUYS

Collettiva Internazionale con la partecipazione

di 119 artisti contemporanei di cinque continenti

a cura di Giovanni Bonanno

Presentazione critica di Marcello Francolini

Progetto in collaborazione con l’Archivio Ophen Virtual Art

e la Collezione Bongiani Ophen Art Museum di Salerno.

Dal 29 aprile 2016 al 27 agosto 2016

Inaugurazione: venerdì 29 aprile 2016, ore 18.00

Salerno Tel/Fax 089 5648159 e-mail: bongiani@alice.it

Web Gallery: http://www.collezionebongianiartmuseum.it

Orario continuato tutti i giorni dalle 00.00 alle 24.00

S’inaugura venerdì 29 aprile 2016, alle ore 18.00, la mostra collettiva internazionale a cura di Giovanni Bonanno dal titolo: “WHAT WOULD YOU PUT IN THE HAT OF JOSEPH BEUYS” che lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno dedica all’artista tedesco Joseph Beuys in concomitanza con la ricorrenza dei 30 anni dalla scomparsa, (Dusseldorf, 23 gennaio 1986), proponendo una importante mostra collettiva con 119 artisti di diversa nazionalità. Nella sua attività (oggetti, azioni, installazioni, interviste, multipli, ecc.) lo ha visto protagonista indiscusso, sulla scena internazionale. Negli ultimi anni tra il Settanta e gli anni Ottanta, l'esigenza di dialogo, diventa prioritario, connota spesso le performances come occasioni per esporre verbalmente la propria concezione politico-religiosa, fondata sulla coincidenza tra autodeterminazione, libertà individuale e creatività. Un’arte intesa come processo catartico e liberatorio svincolato dai tradizionali media che fa affidamento sul nesso tra arte-vita-politica alla ricerca di una nuova possibilità creativa e organizzativa dell'uomo tra spiritualismo mistico e scientismo sperimentale.

Alla domanda: perché lei porta sempre il cappello? Beuys rispondeva: “Questo è il tentativo di condurre nell’intero mondo del lavoro l’uomo stesso come concetto di arte. Ciò significa che in questo momento io stesso sono l’opera d’arte”. L’artista tedesco aveva un concetto di estetica del tutto personale, affermava: “il concetto di estetica nel vecchio senso non è più rilevante. Per me si sviluppa sempre più… sino ad arrivare al punto in cui estetica è uguale a uomo. L’uomo stesso è estetica.” Il suo modo di presentarsi era il suo modo estetico di essere, era volontà di manifestare in modo visibile il fondamento del suo pensiero essenziale, cioè l’uomo. Di conseguenza l’abbigliamento era quasi una uniforme, e il cappello, in particolare, era per ricordare a se stesso e agli altri di avere una testa: la testa è fatta per pensare, per portare luce, la luce del pensiero che sta in equilibrio sull’asse verticale, sul portamento eretto dell’essere umano. La testa è avere un’idea per cappello.

Artisti presenti: Joseph Beuys, Ryosuke Cohen, Dorian Ribas Marhino, Marcello Diotallevi, Nicolò D'Alessandro, Maya Lopez Muro, John M. Bennett, Santini del Prete, Virginia Milici, Gino Gini, Mauro Molinari, Nicolas de La Casiniere, Antonio Sassu, Domenico Ferrara Foria, Meral Agar, BuZ Blurr, Horst Tress, Tomaso Binga, Miguel Jimenez, Maria José Silva-Mizé, Leonor Arnao, Melahat Yagci, Sinasi Gunes, Turikan Elci, Atelier Stiliachus, Daniel de Cullà, Giancarlo Pucci, Angela Behrendt, Wolfgang Faller, Alexander Limarev, Rosanna Veronesi, Robert Lewis, Bruno Cassaglia, RCBz, Paolo Scirpa, Carmela Corsitto, Oronzo Liuzzi, Rossana Bucci, Ernesto Terlizzi, Linda Paoli, Remy Penard, Rolando Zucchini, Andre Pace, Giovanni Bonanno, Pascal Lenoir, Stathis Chrissicopulos, Claudio Grandinetti, Alfonso Caccavale, Fernanda Fedi, Daniel Daligand, Rosa Gravino, Pedro Bericat, Francesco Aprile, Lamberto Caravita, Simon Warren, Fabiana Pereira, Ruggero Maggi, Otto D Sherman, Renata e Giovanni Stradada, C. Mehrl Bennett, Picasso Gaglione, Anna Boschi, Lorenzo Lome Menguzzato, Maria Credidio, Eugenio Giannì, Emilio Morandi, Maria Teresa Cazzaro, Gianfranco Brambati, Monika Mori, Fernando Andolcetti, Caranovic Predrag, Pier Roberto Bassi, Patrizio Rossi, Connie Jeans, David Drum, Giovanni Fontana, Vittore Baroni, Luc Fierens, Elena Marini, Mabi Col, Matthew Rose, Fulgor C. Silvi, John Held J.R., Dimitry Babenko, Lia Franza, Gian Paolo Roffi, Umberto Basso, Mirta Caccaro, Marina Salmaso, Lars Schumacher, Ludo Winkelman, Francesco Mandrino, Oznur Kepce, Roland Halbritter, Serse Luigetti, Keichi Nakamura, Adriano Bonari, Alessio Guano, Carlo Iacomucci, Cinzia Farina, Domenico Severino, Maurizio Follin, Claudio Romeo, Lancillotto Bellini, Silvana Alliri, Angela Caporaso, Michel Della Vedova, Susanne Schumacher, Clemente Padin, Malte Sonnenfeld, Kateina Nikeltsou , Claudia Garcia, Roberto Scala, Josè Luis Alcalde Soberanes, Julien Blaine, Judy Skolnick, Tricia Schriefer, Cernjul Viviana, Gianni Romizi, Ayse Sidika Ugur.

WHAT WOULD YOU PUT IN THE HAT

OF JOSEPH BEUYS

SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY 2.0

Via S. Calenda, 105/D - Salerno

29 aprile 2016 – 27 agosto 2016

Inaugurazione: venerdì 29 aprile 2016, ore 18.00

Orario: tutti i giorni ore 00.00 - 24.00

e-mail: bongiani@alice.it

Web Gallery 2.0: http://www.collezionebongianiartmuseum.it
Press: bongiani@libero.it

PRESENTAZIONE:

What would you put in the hat of Joseph Beuys.

Testo di Marcello Francolini, critico d’arte, aprile 2016

L’operazione che andiamo qui a presentare è stata ideata e curata da Giovanni Bonanno, che attraverso lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery presenta il suo progetto Internazionale di Mail Art che, a sua volta, andrà ad alimentare la Collezione Bongiani Ophen Art Museum di Salerno. Questa realtà, da anni, si muove nell’immaterialità della rete facendo dell’immanenza uno spazio concreto di riflessione.

Perché un cappello per ricordare Joseph Beuys?

Non poteva che esserci immagine più fedele di quella di un cappello per essere sicuri di esprimere parole-immagini intorno alla figura di Joseph Beuys. Considerandolo come il cappello, e non tanto un cappello, allora si potrebbe convenire che è proprio quel cappello che indossava sempre e ora non più. È ciò che resta oggi, come l’ultimo è più vero luogo del suo corpo.

“Ricoprirono il mio corpo di grasso per rigenerare il calore e l’avvolsero nel feltro per conservarlo”.

Fu così, che i Tartari lo raccolsero, accogliendolo nella loro natura medicinale, lo resuscitarono, rialzandolo a nuova vita, il 16 marzo del 1944.

Così scriveva l’artista nel suo Curriculum vitae/Curriculum delle opere, con il quale, in una sorta di mito delle origini, ricostruì una sua seconda vita, a partire dall’istante in cui tutto aveva avuto inizio. Portò da allora sempre con sé, feltro e grasso.

Ora quello stesso feltro è materiale del suo cappello, protegge il capo come protesse il corpo. Lo stesso cappello che ora mantiene in caldo i pensieri, rilascia quello stesso odore di feltro che annusò in Crimea nascendo daccapo. È così che il cappello a Beuys servì per ricordarsi di sé ovunque, qualcosa come un peso sul capo per tenerlo radicato alla terra, la sua terra propria. La sua Heimat.

Quel cappello è ciò che di più proprio c’è di Joseph Beuys.

Per comprendere quindi la sua opera e poterne dare un giudizio è assolutamente necessario non limitarla in chiave formale, ma considerarla profondamente nella sua totalità. Egli ricercava attraverso la realtà una via di accesso alla verità attraverso se stesso e la natura. Allora appare evidente che il cappello spostando l’attenzione sull’uomo, in quanto sottende ad un corpo che deve indossarlo, rimarca proprio che il pensiero dell’artista è connesso indissolubilmente alla sua vita, alla sua carne.

Perché fare una mostra sul cappello di Joseph Beuys?

Potremmo iniziare con lo specificare che più che il cappello si tratta dell’immagine del cappello, nello specifico è un cappello capovolto il cui fondo è quello spazio di pertinenza di scambio in cui gli artisti sono chiamati a entrare.

Così posto, il cappello, sembra migrare in una forma vascolare, mostrarsi per allegoria, come una giara da cui attingere o versare pensieri che allo stesso tempo sono altrui e personali (in un rimando incessante di sovrapposizioni che alla base rappresentano l’humus del comunicare con).

Ricordando la frase di Beuys più volte rimarcata, da una sua profonda conoscitrice, Lucrezia De Domizio Durini:

“Non si conserva un ricordo si ricostruisce”

Rolando Zucchini ad esempio colma proprio quel fondo, il colore che n’esce dilaga silenzioso quasi provenisse da dentro. Quasi raggiunto l’orlo, questo verde bluastro turchese si rafferma come fosse una lastra che chiude, o comunque mantiene ben coperto qualcosa che è sotto, forse il pensiero di Beuys così legato all’essenza stessa dell’artista (il cui capo conservava gelosamente nel cappello).

Su questa modalità “del riempire” segue Anna Boschi, che fa del contenitore del pensiero beuyssiano, un reliquiario con le sue opere-concetti, scaturiti proprio da quel pozzo di acque intuitive. Gino Gini, imbarca il cappello copri capo proteggi idee in un mare di parole pensieri. Wolfgang Faller, omaggia l’artista tedesco con una moltiplicazione di “Capri-Batterie” del 1985, aumentando tanti limoni quante idee è possibile ammettere. Umberto Basso lascia, come foglie sull’acqua, a galleggiare sospese le lettere dell’alfabeto. Un’immagine direi di calma in cui i significati non hanno ancora la loro forma verbale e perciò il rapporto coll’esterno passa interamente dal corpo. Andando avanti, tra le opere di Mail Art, troviamo Giovanni e Renata Strada, insieme, marito e moglie, formano il gruppo Stradada. Al cappello in cartolina sono sovrapposte alcune fotografie in primo piano di Beuys, la composizione tende a formare un’immagine di una croce, la struttura pone un equilibrio evidente, gli occhi dell’osservatore convergono naturalmente verso il centro dove incontriamo, con espressione sorpresa, Beuys. “Chi li ha Visti?” scritta sotto l’immagine, rimarca la spesso offuscata e sbiadita idea che avvolge artisti non facilmente classificabili.

Questi artisti descritti, come la maggior parte di coloro, che sono presenti in questa mostra, potrebbero rientrare in una tipologia del riempimento, inteso come spazio specifico entro cui formalizzare il pensiero, com’è nel caso dell’utilizzo del cappello come spazio per l’azione artistica. L’artista qui, vi si proietta. Purtuttavia ce ne sono stati alcuni che hanno ribaltato tale modalità di lavoro, optando per una tipologia del prelievo. Questi artisti prendono il cappello e lo portano dentro, in uno spazio altrove. È il caso ad esempio di Linda Paoli, che il cappello lo materializza, trasportandolo, con la mano, nei pressi dei luoghi più consoni a quella creatività antropologica di Beuys: Terra, Aria, Acqua. A seguire c’è Antonio Sassu, che risponde con un’azione pratica a un’artista delle azioni com’era Beuys, con le sue “Living Sculpture”. Si pianta, letteralmente nel terreno, la testa è scomparsa sotto, il corpo è verticale con i piedi all’insù, da cui spunta una pianta. Come un’idea che può, solo nascere da un corpo ben radicato sulla terra.

Proprio a tal proposito, della terra, e di Joseph Beuys, potrei, provando a rimestare quei graffi lasciati dagli artisti, contribuire anche io al riempire il cappello:

Piccolo Resoconto su un pensiero di terra

Semplicemente terra.

Non v’è immagine, nel senso comune, che assicura, letteralmente che mette a riparo, il nostro pensare, più d’ogni altra cosa, a una posizione stabile, salda, sicura.

Certo se per terra intendiamo ciò, di contraltare un pensiero di acqua scivolerebbe slegato in superficie, ondeggiando liquidamente da un estremo all’altro. Un pensiero d’acqua è dato dalla successione di visioni. Esse s’accavallano repentine senza che mai di una, sia possibile fissare un ricordo. Ogni tentativo di mantenersi stabile è vanificato dalle correnti esterne che l’influenzano e lo soggiogano. Un pensiero di terra, invece, pesa se stesso grazie ad una gravità che lo rafferma. A differenza di un pensiero d’acqua che solo vede, scorrendo, un pensiero di terra guarda, è in guardia alla posizione su cui si mantiene e nella terra si rassicura affinché il pensiero abbia piedi per slanciarsi.

Heimat è, dunque, quel nostro orizzonte che ci assicura a noi stessi. La sua luce ha la stessa consistenza della nostra prima luce mai ancora vista.

BIOGRAFIA:

Alla domanda: perché lei porta sempre il cappello? Beuys rispondeva: “Questo è il tentativo di condurre nell’intero mondo del lavoro l’uomo stesso come concetto di arte. Ciò significa che in questo momento io stesso sono l’opera d’arte”. L’artista tedesco aveva un concetto di estetica del tutto personale, affermava: “il concetto di estetica nel vecchio senso non è più rilevante. Per me si sviluppa sempre più… sino ad arrivare al punto in cui estetica è uguale a uomo. L’uomo stesso è estetica.” Il suo modo di presentarsi era il suo modo estetico di essere, era volontà di manifestare in modo visibile il fondamento del suo pensiero essenziale, cioè l’uomo. Di conseguenza l’abbigliamento era quasi una uniforme, e il cappello, in particolare, era per ricordare a se stesso e agli altri di avere una testa: la testa è fatta per pensare, per portare luce, la luce del pensiero che sta in equilibrio sull’asse verticale, sul portamento eretto dell’essere umano. La testa è avere un’idea per cappello.

Joseph Beuys / Biografia

Artista tedesco, nato a Krefeld il 12 maggio 1921, morto a Düsseldorf il 23 gennaio 1986. Conseguita la maturità classica, a Kleve nel 1940 si orienta verso studi di medicina. Pilota in guerra, rimane ferito nella caduta di un aereo in Russia ed è poi fatto prigioniero. Tornato a Kleve, nell'attenzione rivolta alle scienze naturali emergono i suoi interessi per l'arte. Dal 1947 al 1951 frequenta la Staatliche Kunstakademie di Düsseldorf seguendo corsi di J. Enseling ed E. Mataré. Nel 1967 fonda l'Organisation für direkte Demokratie durch Volksabstimmung e dopo essere stato rimosso nel 1972 per ragioni politiche dall'insegnamento di scultura, svolto dal 1961 presso l'Accademia di Düsseldorf, costituisce una Freie internationale Hochschule für Kreativität und interdisziplinäre Forschung. Tra la fine degli anni Quaranta e i Cinquanta evidenzia, in una figurazione di essenzialità espressionista, lo specifico dei materiali e delle tecniche. Passa quindi all'assemblaggio di oggetti di rifiuto e di sostanze deperibili e povere, pervenendo nel 1962, all'interno del gruppo Fluxus ma con posizione autonoma, alle sue prime ''azioni'' sostenute da una struttura spazio-temporale e con una forte componente magico-rituale e simbolica anche negli elementi esibiti (grasso, feltro, animali e il suo stesso corpo). Negli anni Settanta l'esigenza di dialogo, quasi una vocazione, connota spesso le performances come occasioni per esporre verbalmente la propria concezione politico-religiosa, fondata sulla coincidenza tra autodeterminazione, libertà individuale e creatività. Un’arte intesa come processo catartico e liberatorio svincolato dai tradizionali media che fa affidamento sul nesso tra arte-vita-politica alla ricerca di una nuova possibilità creativa e organizzativa dell'uomo tra spiritualismo mistico e scientismo sperimentale.

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26 agosto 2014 2 26 /08 /agosto /2014 15:35
Ritratto di G. A. Cavellini
Ritratto di G. A. Cavellini

SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY Via S. Calenda, 105 - Salerno MOSTRA RETROSPETTIVA Palazzo Virtuale “GACONCETTUAL POETRY” G.A.CAVELLINI 1914 - 2014 Dal 7 settembre 2014 al 27 ottobre 2014 Inaugurazione: Domenica 7 Settembre 2014, ore 18.00 Ophen Virtual Art Gallery, Via S. Calenda, 105 – Salerno Tel/Fax 089 5648159 e-mail: bongiani@alice.it – Web Gallery: http://www.ophenvirtualart.it/ Orario continuato: tutti i giorni dalle 17.00 alle 20.30

Retrospettiva dedicata a Guglielmo Achille Cavellini in occasione del Centenario della nascita con una presentazione di Piero Cavellini, un poema visuale e un saggio critico di Giovanni Bonanno.

S’inaugura sabato 7 settembre 2014, alle ore 18.00, la mostra Retrospettiva a cura di Giovanni Bonanno in collaborazione con l’Archivio Cavellini di Brescia dal titolo: “GACONCETTUAL POETRY” che lo Spazio Ophen Virtual Art Gallery di Salerno dedica all’anniversario del Centenario di Guglielmo Achille Cavellini.

Guglielmo Achille Cavellini a compimento del Centenario (1914-2014) aveva espresso il desiderio di attuare una sorta di celebrazione postuma come completamento di una sua importante operazione artistica incentrata sull’Autostoricizzazione”. Per tale importante occasione vengono presentati 86 opere significative dell’artista lombardo. Nella prima sala sono presenti i lavori degli anni 60, dalla pittura dei primi anni sessanta alle opere oggetto, dai francobolli ad intarsio in legno alle casse che contengono opere distrutte del 1966 al 1968. Nella seconda sala vi sono i lavori degli anni 70, dalle casse che contengono opere distrutte del 1968 ai carboni, dai francobolli alle fotografie e le tele emulsionate. Nella terza sala vi sono i lavori degli anni 80, con la serie dei personaggi della storia, i francobolli, gli autoritratti, la scrittura sul corpo, la performance e gli ultimi autoritratti realizzati dall’artista nel 1990 in una clinica di Brescia prima della morte. Per diversi decenni GAC in Italia è stato osteggiato come “un ricco eccentrico in vena di esibizionismo”, non compreso perché ritenuto soltanto un importante collezionista d’arte contemporanea e di conseguenza collocato dalla critica ufficiale nel completo isolamento. A partire dal 1970, aveva per la prima volta tentato a “scardinare” il sistema ufficiale dell’arte e di far sentire la propria voce attuando appropriate “interferenze” all’interno del sistema proponendo la sua presenza come autentico momento creativo. L’arte, dopo essere stata relegata per molto tempo al chiuso delle idee, con l’autostoricizzazione” del 1971 di GAC diveniva liberazione, apertura delle frontiere culturali, arte che si integrava nella vita. Inoltre, condividendo e abbracciando contemporaneamente più campi di ricerca trasversali e alternativi alle proposte della cultura ufficiale; dalla pittura alla poesia visiva, dall’arte di comportamento alla Body Art si collocava autonomamente ai margini di un sistema, in una zona franca, in una periferia di confine praticabile. Artista per certi versi difficilmente classificabile per le diverse pratiche utilizzate, ma sicuramente protagonista del superamento trasversale di una logica tradizionale. Oggi, a distanza di qualche decennio di riflessione, Guglielmo Achille Cavellini appare un personaggio geniale e poliedrico. Ha vissuto l'arte contemporanea dal secondo dopoguerra fino al 1990, anno della sua morte, come battitore libero, diceva: “preferisco vivere la mia avventura, proiettata nel futuro, piuttosto di dovermi impantanare nell’intricata giungla dell’arte”, da artista non condizionato da schemi e imposizioni. Non é stata una questione di semplice eleganza o puro stile ma di una lucida operazione illuminata che ha evidenziato e messo in luce i problemi e le contraddizioni di un sistema culturale che non lascia niente al caso e che quasi sempre tratta l’opera e l’artista come mera merce di scambio.

BREVE BIOGRAFIA di GUGLIEMO ACHILLE CAVELLINI (GAC) GAC (Guglielmo Achille Cavellini) è stato un importante studioso e collezionista dell'arte astratta europea. Dalla metà degli Anni '40 esordisce con disegni e ritratti. Nel '60, si dedica invece alla sperimentazione: alcuni esempi del suo lavoro sono spesso legati a citazioni, vere e proprie elaborazioni di celebri opere che ne fanno un autentico attore nella messa in scena dell'arte. GAC mette in pratica la sua teoria dell'autostoricizzazione: il fare da sé nel costruirsi attorno l'alone del successo, mettendo in disparte i processi canonici che il sistema utilizza a tale scopo. Non è un atto di megalomane autorappresentazione, bensì l'innescarsi di una procedura alternativa: una rivoluzione all'interno della comunicazione artistica. Andy Warhol si mette a ritrarre Cavellini, e il geniaccio GAC rende omaggio a Andy con il francobollo "Le Marilyn di Warhol" (1984). L’utilizzo dei materiali di recupero (negli oggetti assemblati, negli intarsi in legno, nei carboni), è lo strumento del suo operare. Nascono i Teatrini e i francobolli d’artista attraverso i quali viene reso omaggio ai geni della pittura: Picasso, Lèger, Matisse, Braque e nasce, anche, l’amore per la Mail Art, movimento libero e democratico che permette a GAC di avere contatti e confronti importanti con tanti artisti sparsi su tutto il pianeta. “GACONCETTUAL POETRY” G.A.CAVELLINI 1914 - 2014 SPAZIO OPHEN VIRTUAL ART GALLERY Via S. Calenda, 105 - Salerno e-mail: bongiani@alice.it Web Gallery: http://www.ophenvirtualart.it/

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